La strategia ablate and pace per la cura della fibrillazione atriale

Il controllo della frequenza cardiaca: Quando?

Uno dei problemi correlati alla fibrillazione atriale è l’aumento incontrollato della frequenza cardiaca (tachicardie) che causa affanno, intollerranza allo sforzo fisico e che, a lungo andare, può portare ad un indebolimento della funzione del cuore (scompenso cardiaco). Il modo migliore per risolvere tale problema è sicuramente quello di ripristinare il ritmo sinusale mediante i farmaci, la cardioversione elettrica, l’ablazione trans-catetere. Purtroppo però, la strategia di ripristino del ritmo normale del cuore (ritmo sinusale) non è sempre perseguibile. Infatti,  quando la fibrillazione atriale è presente da molto tempo (permanente) o quando c’è una patologia cardiaca di base rilevante, oppure quando le condizioni cliniche del paziente non lo permettono, è possibile scegliere di lasciare il paziente in fibrillazione atriale (con opportuna terapia anticoagulante) ed impedire un aumento eccessivo della frequenza cardiaca mediante una strategia terapeutica rivolta al controllo della frequenza ventricolare. 

Il controllo della frequenza cardiaca: Le strategie

Il primo passo da percorrere sarà quello dell’utilizzo di farmaci atti a rallentare la frequenza in corso di fibrillazione. Si tratta di farmaci che agiscono particolarmente sul nodo atrio-ventricolare (unico normale punto di trasmissione elettrica degli impulsi tra atri e ventricoli) e sono farmaci ampiamente utilizzati. Ne sono esempi i beta-bloccanti, la digitale ed i calcio-antagonisti. Nel caso i cui tali farmaci fossero inefficaci ovvero mal tollerati ovvero ancora provocassero effetti collaterali pericolosi quale il rallentamento eccessivo della frequenza cardiaca, una strategia alternativa potrà essere quella dell’impianto di un pace-maker (inserito allo scopo di scongiurare rallentamenti eccessivi della frequenza) e della continuazione della terapia con farmaci atti a rallentare la frequenza. Ancora, e particolarmente interessante e di facile attuabilità, esiste la strategia cosiddetta di “ablate&pace” (ablazione + pace-maker): si tratta di impiantare un pacemaker e, a distanza di almeno un mese dall’impianto del dispositivo,  eseguire una ablazione transcatetere della “giunzione atrio-ventricolare”, procedura, quest’ultima, di semplice esecuzione, che non richiede alcuna sedazione, di breve durata (circa 30 minuti) e di successo certo. In questo modo, avendo interrotto l’unica comunicazione elettrica tra atri e ventricoli, gli atri continueranno a “fibrillare”, ma gli effetti della fibrillazione non saranno trasmessi ai ventricoli, il cui comando verrà assunto dal pacemaker. E’ evidente che il paziente sottoposto a questo tipo di procedura diverrà totalmente dipendente da tale dispositivo e non avrà più bisogno di assumere farmaci atti a rallentare la frequenza cardiaca, e continuerà ad assumere la terapia anticoagulante.

La procedura di "ablate & pace"

La strategia di “ablate and pace” consiste di due interventi solitamente distinti nel tempo. Il primo passo è quello di eseguire un  normale impianto di pacemaker (vedi apposita sezione). Il tipo di dispositivo (pacemaker, ICD o resincronizzatore cardiaco) e le modalità di stimolazione vengono decise a seconda delle condizioni cliniche del paziente e della malattia cardiaca di base. In un secondo momento, quando si è certi che la posizione degli elettrocateteri nel cuore sia stabile si passa alla successiva strategia di ablazione della  giunzione atrioventricolare. Tale procedura consiste nella “bruciatura” del nodo atrioventricolare, una sorta di centralina elettrica che rappresenta l’unico punto di comunicazione tra gli atri ed i ventricoli, mediante una sonda a radiofrequenza che, inserita da una vena della gamba (vena femorale), arriva fin al cuore. La procedura dura circa 30 minuti, viene eseguita in anestesia locale, prevede una degenza di circa 2 giorni ed ha un tasso di complicazioni trascurabile.

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